Riflessioni in merito al perché abbiamo organizzato il concerto del 16/06
Abbiamo deciso di fare questo concerto “contro la repressione” a seguito di varie riflessioni avvenute all’interno del collettivo durante quest’anno in cui la tensione sociale è andata via via crescendo, dato gli attacchi sempre maggiori, qualitativamente e quantitativamente, da parte delle forze reazionarie.
Fin tanto che l’espansione economica, anche attraverso la finanza, ha garantito buoni profitti, la classe padronale ha potuto accettare che ai lavoratori fossero garantiti salari decenti e un certo grado di welfare, che ha portato per i più, almeno in Europa, ad un livello di vita accettabile anche strumentale all’assopimento della conflittualità sociale. In momenti di crisi, quando anche i profitti dei padroni sono a rischio, si comincia a colpire sempre più a fondo quei diritti collettivi ottenuti in passato con la lotta. È in questi momenti, in cui il livello di scontro si alza, anche se non finalizzato ad un ribaltamento del sistema ma per non veder peggiorare le proprie condizioni di vita, che la repressione comincia anch’essa ad allargarsi e colpire non solo chi mette in discussione tutto il sistema e le sue regole, ma anche chi tenta di alzare un minimo la testa. Per il potere, è importante far capire alla gente, tramite i media strumentalizzati nella migliore delle ipotesi, fino all’utilizzo di manganelli e arresti, che non può rivendicare nulla, che qualsiasi lotta contro le decisioni prese dal padrone di turno sarà stroncata sul nascere. Qualsiasi forma di autogestione e autorganizzazione del proprio agire e pensare, come può essere il bloccare con i propri corpi i cancelli di una fabbrica, rappresenta un potenziale pericolo non solo per gli effetti indesiderati della specifica lotta, ma perché è proprio nella lotta che, attraverso un’organizzazione collettiva che parta veramente dal basso e attraverso la solidarietà, si possono mettere maggiormente in luce le contraddizioni del sistema di cose attuale. Ed ecco che ancor prima che un accenno di tutto questo possa venire a formarsi, arriva lo stato con il suo braccio armato: rivolte nei Cie, scioperi davanti alle fabbriche, presidi davanti alle cooperative, lotte sul territorio come il movimento notav in Val Susa, tutto sedato il più velocemente possibile con lacrimogeni ad altezza uomo, manganellate, arresti fin dentro gli ospedali.
A proposito di questo ci sembra doveroso dare tutta la nostra solidarietà ai lavoratori di due cooperative di Basiano, in provincia di Milano, i quali, a seguito di uno sciopero di protesta, avvenuto a Maggio, contro le pessime condizioni salariali e di lavoro, spontaneamente l’8 giugno decidono di bloccare la movimentazione delle merci, avendo ricevuto il giorno stesso una lettera con l’annuncio della chiusura dell’appalto della cooperativa. Sia durante questo picchetto, che durante quello di solidarietà dell’11 giugno, i carabinieri intervengono duramente per il “ripristino della legalità, soprattutto nel secondo in cui avvengono cariche violente contro i lavoratori, pestaggi squadristi, calci a terra e manganellate che mandano un lavoratore in coma e ne feriscono oltre una decina.
A fianco di tutto questo c’è chi va punito ancora più duramente, certamente per la solidarietà data a queste lotte, ma soprattutto perchè in continua ricerca e creazione di luoghi fisici e di discussione dove le falle del sistema sono portate alla luce, criticate, dove una strada diversa non solo è immaginabile, ma è in fase di costruzione. Dai clamorosi e mediatici arresti “di massa”, sempre funzionali alla creazione nell’immaginario comune del cattivo black-block totalmente decontestualizzato e fuori luogo, a sgomberi di spazi occupati; come il caso della manifestazione contro la riforma Gelmini in cui si è bloccata la stazione dei treni in cui, tra migliaia di persone, alcuni membri del collettivo sono stati colpiti insieme ad altri 15 studenti, i soliti noti a cui affibbiare denunce, o come le perquisizioni alle case di alcuni compagni solo perché stati presenti alla manifestazione di Roma del 15 ottobre.
Dove non arriva la spada, poi, ci pensa la penna. Ogni strumento di comunicazione di massa, asservito al denaro e di conseguenza a chi lo possiede, gioca un ruolo non indifferente nel criminalizzare chi si schiera apertamente in posizioni di conflitto nei confronti dell’esistente. Così chi si ribella diventa un terrorista, la crisi economica diventa un onere per tutti, nonostante a trarre beneficio dal sistema industriale che l’ha prodotta siano in pochi, e chi lotta per difendere la propria terra si trasforma in un ottuso irresponsabile incapace di aprirsi ad un fantomatico progresso collettivo.
Per far fronte al costante fantasma di denunce e arresti che aleggia su chi tenta di alzare la testa, che spesso nel nostro caso si materializza in grane legali tese per lo più a spaventare e a rendere più difficile mobilitarsi, abbiamo deciso di organizzare questo concerto di autofinanziamento, per far fronte a spese legali presenti e future.