Il mondo è nostro – sulle violenze del 14 dicebre a Roma

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Bertold Brecht scriveva: che cos’è la rapina di una banca in confronto alla sua fondazione? Una possibile parafrasi potrebbe essere cos’è la violenza dei manifestanti in confronto a quella istituzionale. La violenza infatti che fa parlare i politici, partiti e pennivendoli, ma anche i cosiddetti non violenti del movimento, è sempre quella che si verifica nelle strade, da parte di “provocatori”, con l’intento di creare la consueta divisione fittizia tra buoni e cattivi. Arginare le frange estremiste, maggiore e più razionale uso della polizia nel reprimerle, il tutto per mantenere la protesta entro i confini della legalità o della “ragionevolezza” e non cambiare nulla. Come se per cambiare davvero qualcosa bastasse sfilare per le vie di una città o bloccare il traffico per qualche ora. Ciò abbiamo imparato che non basta! Quando la rabbia fiorisce lo scontro è il minimo che si può fare. L’azione diretta è una delle risposte alla violenza del potere. Violenza che non si limita soltanto alle cariche della polizia durante le manifestazioni di cittadini in difesa della loro terra (vedi Terzigno), ma anche nei posti di lavoro dove le leggi democratiche dello sfruttamento causano la morte di migliaia di lavoratori (alla faccia della propaganda ministeriale sulla sicurezza sul lavoro), nei confronti degli immigrati, delle popolazioni che subiscono la presenza delle forze armate italiane nel mondo. Una violenza che è intrinseca ad un sistema che si regge sulla oppressione da parte di una minoranza al potere nei confronti della maggioranza della gente. Questa violenza non può estinguersi con raccolte firme, riforme o con i vari appelli ad una democrazia che rispetti maggiormente la Costituzione.

Tutto questo va cambiato con una reale opposizione al di fuori della mediazione istituzionale considerando come nemici i reali complici di questo sistema. Se le manifestazioni di Roma non si sono limitate a mostrare il proprio dissenso verso il governo ma anche contro la polizia, le banche, la sede della Protezione Civile (responsabile della gestione di tipo totale della situazione post terremoto a L’Aquila, speculando sulla disperazione della gente) e un insieme di simboli che ci tengono sempre più legati alle catene dello sfruttamento, vuol dire che chi ha alzato la testa in questa direzione ha capito che non è un ddl della Gelmini che ci mercifica i saperi, che le conquiste si ottengono con la lotta reale e che nulla ci sarà concesso se non incominciamo a pensare che molte cose bisogna prendersele, anche con la forza. La lotta di tutti coloro che hanno messo a ferro e fuoco alcune vie di Roma è la lotta di tutti quei lavoratori che ogni giorno  vengono sfruttati da un padrone per otto ore al giorno e con la garanzia delle leggi decise in parlamento, di tutti quegli immigrati che subiscono quotidianamente l’orrore dei CIE e la paura di esserne rinchiusi a causa della mancanza di un documento, in pratica di tutti gli sfruttati. Non ci interessa indicare quale siano i metodi migliori da utilizzare, ognuno può decidere da sé quale scegliere in misura delle sue convinzioni, del contesto, e anche della sua determinazione, ma ci preme dire che la violenza contro il potere è legittima in quanto difesa di fronte ad una violenza ben più grande e organizzata.

Sarebbe stupido alzare le mani di fronte a questo.Se ci si accorge di essere schiavi legati ad una catena, che senso ha chiedere che questa venga allungata?

Spezziamola

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