Riceviamo e pubblichiamo dal “Circolo Pedro” di Trieste
Il 9 marzo del 1985, a Trieste, nella centrale via Giulia, quattro sicari di stato, tre della Digos e uno del Sisde, ammazzarono, crivellandolo di colpi, il militante comunista Pietro Greco “Pedro”.
Pedro fu assassinato dalla polizia politica e dai servizi segreti, dopo essere stato costretto alla latitanza, perché era un compagno comunista, un’avanguardia politica e di classe del movimento proletario e popolare, attivo all’interno delle lotte e delle mobilitazioni sopratutto nella città di Padova.
Il suo assassinio rispondeva alla volontà politica del regime della controrivoluzione preventiva di chiudere ad ogni costo lo straordinario ciclo di lotta che, dalla fine degli anni sessanta, si era determinato nel nostro paese. Quelli che lo stato chiama, demonizzandoli, “anni di piombo”, ma che per la classe lavoratrice e le masse popolari rappresentarono un periodo di avanzamento nelle conquiste sociali e politiche, nei rapporti di forza con i padroni e nella prospettiva rivoluzionaria.
È la continuità di questo percorso e di tale prospettiva che gli aguzzini della classe dominante intendevano colpire assassinando Pedro. Lo stesso obbiettivo di liquidazione del movimento rivoluzionario che ebbero, a livello ideologico e politico, i fautori della capitolazione difronte alla classe dominante i quali, proprio mentre Pedro e altri compagni venivano ammazzati, portavano avanti le infamie della dissociazione e della “soluzione politica”.
Oggi, nel contesto della crisi oramai apertamente dichiarata del sistema capitalista internazionale e dei conseguenti attacchi, sempre più gravi, alle condizioni di vita dei lavoratori e delle masse popolari, la classe dominante e lo stato, come dimostrano gli ultimi eventi in Val di Susa, si confermano essere disposti alla repressione più brutale, finanche all’omicidio, nei confronti di chi osa ribellarsi a tale offensiva. La stessa rapacità e ferocia che, sul fronte internazionale, mostra tutta la sua barbarie nello sviluppo della guerra imperialista come strategia di soggiogamento dei popoli e di ripartizione del globo fra le grandi potenze.
In questa situazione, la memoria, anche quella dei compagni uccisi, si impone come presente e il presente trova nella memoria patrimonio e armi per proseguire nella lotta.