Presentazione delle giornate sull’antifascismo

Il percorso sull’antifascismo che abbiamo sentito l’esigenza di organizzare si compone di tre incontri di approfondimento e dibattito sul fascismo e in particolare sulla lotta attiva contro di esso. La necessità di incontrarsi e parlare di questo tema nasce dalla realtà che viviamo, che si nutre sempre più di sentimenti quali l’odio razziale, la discriminazione verso il diverso, l’alternativo, l’immigrato trasformandosi spesso anche in  aggressioni (come quella al campo rom di Torino) dove le frustrazioni sociali, alimentandosi del populismo più becero della propaganda fascista, prendono ripugnanti forme scatenando una guerra tra poveri, un esser forti contro chi, posto ai margini di questa società, si trova spesso solo nella condizione di subire. E chi in questa guerra soffia sul fuoco e ci guadagna è la classe dei padroni che ci vuole sudditi che eventualmente indirizzino la propria rabbia (e che altro sentimento si può provare in un mondo in cui ci si sente solo comparse) verso capri espiatori. In questo scenario dove la politica, con le sue leggi, perseguita gli immigrati, dove politici e giornali creano un clima in cui la delazione diventa sinonimo di gesto umanamente accettato, i fascisti trovano spazi in cui rincorrere i loro ideali di ordine, patria e gerarchia ben protetti dai partiti di palazzo e dalle forze dell’ordine (basti pensare allo schieramento di celere in difesa delle sedi di casapound durante i cortei antifascisti e l’assenza di polizia durante l’aggressione del campo Rom a Torino – una chiara presa di posizione!).

In questo periodo di crisi, di governo tecnico del capitale, la propaganda reazionaria del fascismo si inserisce anche nel malcontento generale che le politiche d’austerity creano sulla classe lavoratrice. Questa è infatti la classe ancora una volta sfruttata e tartassata dai padroni per mantenere intatti i propri profitti.

Le campagne contro i banchieri, la riforma dell’articolo 18 od equitalia portate avanti dai vari gruppuscoli fascisti (primi tra i quali gli ultra-populisti di casapound) non sono altro che un tentativo di facciata sotto la quale nascondere la loro vera natura di razzisti e scarafaggi servi dei padroni con il compito di ammansire le masse, buttando acqua sul fuoco delle spinte rivoluzionarie, riversando l’odio di classe nel razzismo.

Da troppo tempo ormai il potere si serve, in varie forme, del fascismo per arrestare o porre dei limiti agli slanci verso uguaglianza e libertà.

Nei primi anni venti del ventesimo secolo con l’uso di squadracce fasciste che, protette dalle questure, potevano impunemente attaccare le case del popolo, i circoli operai ecc preparando quel clima di guerra civile che avrebbe contribuito all’ascesa del fascismo. Con la “strategia della tensione” in cui i fascisti e vari organi dello Stato causarono centinaia di vittime con l’uso del terrorismo per stroncare i movimenti di classe. Oggi le aggressioni da parte fascista continuano a uccidere (i 2 senegalesi a Firenze sono l’esempio più tristemente noto) e il loro operare viene sempre più legittimato dai mass media che da una parte creano le condizioni affinché queste immonde persone trovino voce e dall’altra minimizzano le loro aggressioni come violenze o bravate non politiche o razziste.  Un fascismo “di strada” e un fascismo che dalle istituzioni, dalle leggi, dalle questure coinvolge tutta la società. L’uno si nutre dell’altro e viceversa. Con la consapevolezza che nulla serve estirpare il fascismo senza attaccare il capitalismo e che la lotta non deve essere delegata a nessuno. Non serve a nulla chiedere giustizia alle istituzioni quando sono queste a proteggere i fascisti (l’assoluzione dei fascisti dalla strage di piazza della Loggia è l’esempio più recente).

Un percorso sull’antifascismo per riprendere i fili di quella resistenza che ha visto migliaia di uomini e donne impegnarsi di persona contro l’avanzare di un mondo che li voleva massa obbediente e governabile.

Abbiamo scelto di guardare indietro perché pensiamo che la memoria storica ci debba insegnare qualcosa, non tanto date, eventi, storia capace solo di riempire biblioteche, ma critiche, limiti e anche suggerimenti, prospettive, slanci che possono essere di grande aiuto anche nelle varie battaglie sociali che vogliamo portare avanti, <E non resti quella Primavera/solo serrata nelle pagine grigie/ di libri di storia, su uno scaffale> scriveva un poeta partigiano all’indomani del 25 aprile. Guardare indietro per capire che quel mondo in parte passato ci si ripresenta con forme diverse ma con la stessa prepotenza. Guardare al passato perché troviamo in quelle persone che hanno dato la vita per la libertà e l’uguaglianza i nostri stessi valori che ci spingono giorno dopo giorno a non rimanere in silenzio.

Abbiamo deciso di parlare di antifascismo dagli Arditi del popolo al movimento “Nuova Resistenza” del luglio 1960 scorgendo i tratti che più ci interessano di queste esperienze: l’autorganizzazione, la lotta di classe e quindi l’azione diretta senza delega.

Il periodo della resistenza partigiana che va dal 1943 al  1945 è stata anche guerra di classe oltre che guerra di liberazione nazionale contro l’invasore nazista e guerra civile (tra italiani antifascisti e italiani fascisti). Lontani da una certa visione agiografica della Resistenza non ci interessa scorgere quelle storie di persone che hanno lottato contro il fascismo nell’ora in cui non poteva più offrire nulla per i loro interessi per riabilitarlo qualche anno dopo con la Repubblica ma quelle persone che hanno subìto “passivamente” il fascismo trovando solamente in un secondo momento la forza per combatterlo e soprattutto quegli antifascisti che non si sono mai piegati e che hanno combattuto clandestinamente in Italia durante il ventennio e nella guerra civile spagnola per poi riprendere la resistenza in Italia.  Sarà quindi l’occasione anche per mostrare il ruolo che i partiti della sinistra hanno avuto nell’arginare la spinta rivoluzionaria che saliva dal basso sia durante gli anni degli Arditi del Popolo (e prima) sia dopo l’insurrezione del 1945.

La biciclettata che si svolgerà il 25 aprile a Padova è stata pensata per scoprire i luoghi della città legati alla resistenza. La bicicletta, in diverse epoche, è stata utilizzata dai ribelli e spesso vietata dalle autorità per il suo uso “improprio”. Anche durante l’occupazione nazi-fascista furono diverse le ordinanze prefettizie che vietarono l’uso di questo mezzo (Roma, Pavia, Bologna,…) perché utilizzate al fine della lotta politica: dalle staffette per trasportare documenti, materiale propagandistico o anche armi ai partigiani che le usavano per vere e proprie azioni (come quella a Roma contro le SS di guardia al carcere di Regina Coeli). Mezzo veloce che può tornare a nostro vantaggio..

La resistenza a Padova, iniziata da alcuni personaggi legati all’università che invitarono gli studenti a lottare contro i nazi-fascisti, venne ben presto sgominata e in parte torturata dalla banda Carità.

Da quel periodo in cui nei laboratori di Chimica si confezionava l’esplosivo necessario per la lotta partigiana ad oggi ne sono cambiate di cose. Nelle aule sempre più asfittiche e nei laboratori dove il frutto del proprio lavoro è sempre meno chiaro sembra di vivere in un altro mondo in cui fascismo e antifascismo sono solo parole legate ad un passato ormai lontano. L’università è diventato un posto dove anche i pochi studenti che vorrebbero portare al suo interno alcuni temi trovano le porte chiuse se non la Digos a sorvegliarli. Qualche mese fa è stata negata un’aula per la presentazione di un libro sui partigiani jugoslavi combattenti nel centro Italia. Si vede che i direttori preferiscono aule silenziose alle discussioni, lezioni frontali alle assemblee. Del resto anche durante il fascismo l’Università non è certo stato un luogo di saperi critici ma istituzione utile alla riproduzione dell’ideologia del regime. Pochi sono stati i professori che si sono rifiutati a iscriversi al Partito fascista e per questo sono stati allontanati. L’Università di Padova è stata sicuramente un’eccezione nel panorama italiano, un’eccezione conclusa da tempo.

Vicino a Padova (a Chiesanuova) risiedeva anche uno dei campi di concentramento fascisti, ora caserma intitolata a Luigi Pierobon, partigiano fucilato nel cortile. Allora internava prigionieri jugoslavi ed era gestito dal Regio Esercito ora ospita un reggimento trasmissioni dell’Esercito italiano. Un’occasione per smitizzare la figura del soldato italiano piena di bontà e altruismo (la retorica degli italiani brava gente) e non dimenticare i lager di ieri e di oggi, dove in questi ultimi, denominati CIE, sono rinchiusi migliaia di immigrati per la loro condizione sociale, la storia cambia i nomi, ma si ripete.

La società odierna non ha bisogno del duce al balcone per obbedire ma di una propaganda ben più sottile e accattivante che non permette di immaginare altro da quello che ci viene offerto.

Ma a questa società si oppongono uomini e donne che su fragili vascelli affrontano il mondo in burrasca per sentirsi anche solo per un momento vicini alla agognata libertà. Ieri come oggi. Chi anche per un momento ha potuto vivere da uomo libero in mezzo ad altri liberi e uguali sa che questa condizione umana è da difendere o da riprendere e nulla ha da spartire con il capitalismo e il suo ventre fecondo di oppressione, sfruttamento e fascismo.

 […]

Resistenza è rimanere
negli anni con il cuore
di allora: è gettare
un ponte sull’abisso
del livore, credere nell’uomo
libero, con atto d’amore.

È dare, senza nulla chiedere:
anche la vita,
perché un bimbo non abbia fame.

Dante Strona, poeta partigiano

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